Il giro vizioso della professionalità (ovvero, te lo do io il pezzo di carta!)

Oggi stavo discutendo con alcuni amici su come stiano cambiando le cose nelle P.A. e in particolar modo del problema delle consulenze esterne.
Nella finanziaria 2008 – approvata dal governo Prodi – vi era un articolo (art. 3 comma 94) che si occupava di definire le consulenze esterne e i requisiti per poterle fare.
Va chiarito che è giusto che una P.A. prima valuti al suo interno se vi sono delle figure professionali idonee, e poi richieda al mercato specialisti.
Negli ultimi anni, il legislatore ha disposto diversi interventi in materia, tutti finalizzati ad un unico obiettivo: escludere che siano stipulati rapporti di lavoro autonomo per rispondere a fabbisogni permanenti e per lo svolgimento di attività non altamente qualificate.
Ma come si trovano gli specialisti? Quali sono i criteri che si usano nel mercato per trovarli? Solitamente il curriculum professionale e la competenza, ma nelle P.A. no… l’importante è quel pezzettino di carta chiamato laurea: non serve specificarne il tipo, sia in agronomia, sia in economia, sia in filosofia… l’importante è avere questo pezzo di carta e poi delle professionalità (spesso non solo quelle) adeguate per poter essere chiamati come “esperti”.
Cito da un articolo:

L’ulteriore precisazione operata dal legislatore, circa la necessità di una particolare e comprovata specializzazione/preparazione universitaria, operata dall’articolo 3, comma 76, della legge n. 244 del 2007, ponendo l’accento sull’elevata competenza e sul presupposto dell’assenza di competenze analoghe in termini qualitativi all’interno dell’amministrazione, fa ritenere impossibile il ricorso a qualsiasi rapporto di collaborazione esterna per attività non altamente qualificate, con la conseguente inefficacia di qualsiasi tipologia di contratto stipulato in violazione di tali presupposti.

Per quanto concerne il requisito della particolare professionalità, l’utilizzo dell’espressione «esperti di particolare e comprovata specializzazione universitaria» deve far ritenere quale requisito minimo il possesso della laurea magistrale o del titolo equivalente, attinente l’oggetto dell’incarico. Non sono tuttavia da escludere percorsi didattici universitari completi e definiti formalmente dai rispettivi ordinamenti, finalizzati alla specializzazione richiesta, in aggiunta alla laurea triennale. In ogni modo, le amministrazioni non potranno stipulare contratti di lavoro autonomo con persone con una qualifica professionale inferiore.

La mia domanda è la seguente: vi sono attività di alta specializzazione per cui non esistono titoli di laurea (prendiamo anche il mio caso personale, di accessibilità per il Web – o professioni Web oriented) mentre esistono riconoscimenti anche da parte dell’Unione Europea (il CEN tra tutti, che ha definito i principi per la creazione degli skill profiles) della reale professionalità e attività formativa. Vi sono settori quindi di alta specializzazione in cui questo criterio non è applicabile.
Quindi – per assurdo – mantenendo questa normativa della vecchia finanziaria è possibile che una mia discente laureata in storia, filosofia, economia, legge e che ha studiato qualsoca sui miei libri possa accedere a svolgere l’attività di consulente per le P.A. in materia di accessibilità mentre io (e molti altri esperti di accessibilità che hanno partecipato alla stesura dei requisiti tecnici) potremmo dedicarci al giardinaggio.
Ma la cosa comica è che – come sempre – fatta la legge, trovato l’inganno. Basta consultare gli elenchi delle consulenze pubblicate dal Ministro Brunetta per vedere come siano presenti anche delle aziende… perchè il vincolo riguarda i professionisti, non le ditte individuali!
E quindi siamo nella situazione comica che l’esperto X, per poter svolgere la consulenza alla P.A. dovrà affidarsi ad una terza azienda la quale stipula il contratto alla P.A. e subappalta la fornitura al professionista. Morale? La P.A. spende di più per avere la stessa persona che eroga lo stesso servizio…
Morale: gli esperti (quelli veri, non quelli “gallonati”) si troveranno a fare i braccianti per aziende (gestite da non laureati (perché non vi sono tali obblighi) che rivenderanno (quindi guadagneranno) sul loro lavoro.
Oppure la scelta è laurearsi, ovvero – se mai esistesse una laurea nel campo in cui lavoro – dovrei mettermi a studiare argomenti che ho scritto io e fermarmi di scrivere gli argomenti su cui dovranno studiare i futuri laureati… oppure dovrei fare la scelta di passare le Alpi 🙂
Già mi vedo il dirigente X dare incarico all’ing. Y per sturare un lavandino intasato… eh beh… se poi l’ing. non sa sturare il lavandino, chiamerà un idraulico no?